La sconfitta maturata nella serata di ieri all’Olimpico contro la Roma di Rudi Garcia e costata l’eliminazione dalla Coppa Italia probabilmente non ha smosso nulla nel mondo Juventus: la delusione per l’eliminazione dalla “coppetta” (così pare essere considerata nell’ambiente bianconero) sarà smaltita molto velocemente da staff, giocatori e dirigenza, mentre i tifosi pare si sentano forti del fatto che per il terzo anno consecutivo festeggeranno lo scudetto e, in più, c’è la reale possibilità di poter vincere l’Europa League proprio Juventus Stadium, anche se il cammino è ancora lungo.
Queste motivazioni sarebbero sufficienti per cancellare la delusione di una sconfitta quasi indolore, visti i quasi tre anni di dominio incontrastato in Italia, ma che, in realtà, indolore non è affatto. Vero, sembrerebbe un pensiero nettamente in controtendenza e quasi una mancanza di riconoscenza nei confronti di chi in questi anni ha riportato la Juventus dove è sempre stata; in realtà questa è una critica potenzialmente costruttiva, in virtù del fatto che per la Vecchia Signora dovrebbe essere arrivato il momento di una maturazione che possa portare alla conquista di credibilità, e quindi di trofei, anche al di fuori dei confini nazionali.
Il quarto di finale giocato ieri da mister Conte e dai suoi uomini ha evidenziato, ancora una volta, come i bianconeri pecchino di presunzione in diverse occasioni: è successo in Champions contro avversari tutt’altro che invincibili (Copenaghen l’ultimo esempio), è successo in alcune partite di campionato ed è successo ieri con i giallorossi, in una sfida che il tecnico pugliese ha deciso di interpretare in modo alquanto discutibile e ben lontano da quello che ci ha abituato a vedere. Conte ha dato spazio a coloro che hanno giocato meno fino a questo punto della stagione, cercando di ostentare (invano) ancora una volta che riserve come Quagliarella, Peluso e Isla siano all’altezza e offrano le stesse garanzie di titolari come Tevez, Lichtsteiner e Asamoah, mentre dall’altra parte Rudi Garcia schierava tutti i pezzi da 90; inoltre, la scelta di sfidare gli avversari (annientati in campionato un paio di settimane fa) proponendo un catenaccio “alla Mazzarri”, con tutti gli uomini a difesa dell’area di rigore, con gli attaccanti costretti ad agire 20 metri dietro la linea del centrocampo (manco ci fosse di fronte il Barça di Guardiola) si è rivelata talmente pessima e inadeguata che recriminare per la mancata espulsione di Benatia o per il goal annullato (ingiustamente) a Peluso sarebbe offensivo nei confronti di chi, invece, questa competizione ha deciso di onorarla.
Oltre alla presunzione dell’allenatore, un altro fattore che potrebbe aver rallentato l’affermazione definitiva della Juventus è rappresentato da alcune scelte di mercato di Beppe Marotta. Può sembrare strano, paradossale puntare il dito contro chi ha portato in bianconero i vari Pirlo, Barzagli, Tevez, Vidal, Llorente, Pogba spendendo una ventina di milioni o giù di lì, eppure qualche errore l’ha commesso anche lui. Si va dalla “super-valutazione” di un Isla infortunato da un anno all’inutile attesa della fine della Copa America 2011 per concludere l’acquisto di Agüero, sfumato dopo che il prezzo lievitò grazie, appunto, alle buone prestazioni del Kun in quella competizione; poi ci fu il mancato acquisto di Van Persie, ritenuto troppo “anziano” e non degno di una valutazione di circa 20 milioni, visto che il contratto con l’Arsenal sarebbe scaduto nella stagione successiva; discorso simile fu fatto per Drogba (bastava un piccolo conguaglio per strapparlo allo Shanghai Shenhua e portarlo in bianconero), al quale fu preferito Anelka; infine, è impossibile trascurare lo scontro all’ultimo sangue con la Fiorentina per accaparrarsi Berbatov nell’ultimo giorno di mercato (ebbene sì, Berbatov, non Ibrahimovic o Lewandowski), seguito dall’acquisto di Bendtner. L’ultima follia sarebbe stato lo scambio con l’Inter: Vucinic, l’alternativa più valida agli intoccabili e titolarissimi Tevez e Llorente tra le seconde linee nonostante età e condizioni fisiche non ottimali, per Guarin, centrocampista indisciplinato, dalle qualità tecniche non eccelse e inutile in un centrocampo dove i posti sono solo tre e un giocatore come Marchisio spesso è costretto alla panchina; per fortuna i tifosi interisti (gli stessi non perdono occasione per fischiare Guarin ad ogni pallone sparato in curva nel tentativo di concludere a rete da distanze siderali) e la nuova proprietà nerazzurra hanno bloccato il tutto.
Tutto ciò non è affatto un attacco al metodo Conte o alla gestione (a tratti impeccabile) del mercato da parte di Marotta né un voler nascondere i meriti evidentissimi degli ultimi anni, ma è un discorso indispensabile per la consacrazione di una squadra che difficilmente potrà concretizzarsi se alcuni atteggiamenti non vengono corretti e se non vengono evitati errori da non commettere quando si è a certi livelli, nonostante nel frattempo siano arrivati successi e trofei. Mettere alla luce certe cose quando si vince è difficile, ma è anche vero che non c’è momento migliore per farlo, in modo che determinati ragionamenti e determinate analisi non vadano a destabilizzare i bianconeri che, salvo harakiri di ancelottiana memoria, viaggiano spediti verso la conquista del terzo scudetto di fila e sono ancora in corsa per un titolo europeo, che potrebbe arrivare in casa, davanti ai propri tifosi. Cara Juventus, sei forte ma devi ancora crescere…