Quando compri una moto, qualsiasi, fosse anche un cinquantino, la compri più per far vedere di essere uno tosto più per il piacere di guidarla… Anche perché se ancora non hai mai guidato una moto non sai se ti piace o meno, ad essere realistici (no?!). Poi, solo dopo arriva la passione, quella che trovi innata e sprezzante nei piloti professionisti.
Quando sali sulla moto, che sia la prima o millesima volta non pensi di morire, non pensi che il casco e la tuta di pelle servono per proteggerti dalla morte, quella è solo la scusa per comprarli spendendoci un patrimonio, li hai comprati come piacciono a te: belli, brillanti, per essere unico, “fuori dalla norma”.
Proprio questo voler essere sempre un passo avanti, sempre oltre qualche soglia, segna la differenza tra un appassionato di moto e uno di un altro sport. C’è chi preferisce la moto alla fidanzata, chi invece si innamora sempre di quella nuova, chi la guida per goduria, chi la porta in pista per vincere sugli amici, chi invece ci corre davvero, che se ti capita davanti in pista ti accorgi di essere un impedito e lo guardi con ammirazione. Questo è il mondo normale di chi va in moto da 15 ai 90 anni le emozioni, le sensazioni si alternano, ma sono queste, anche quando vai ad andatura turistica e guardi il mare da una stradina tutta curve.
Poi ti svegli una mattina di ottobre ti metti davanti alla TV e vedi quel gigante buffo che cade e non si rialza. Marco ha lasciato una tacca sul cuore di tutti i motociclisti e la seconda tacca la lascia oggi Andrea. Già, nomi comuni i loro, come quelli di qualche amico che la vita l’ha persa sulla strada per eccesso di confidenza, oppure, per imperizia di qualcun altro. Dal 23 ottobre ad oggi, sinceramente, ho cambiato il modo di guardare le corse in TV: ho paura. Ogni eccesso, ogni caduta, ogni rischio mi riportano alla mente un frame di quella dannata domenica di Sepang.
Oggi sotto quella burrasca russa non si doveva correre, e non perché si parla dopo o si è dei cacasotto, semplicemente perché non c’erano le condizioni per correre, perché sotto quel diluvio Rossi, Marquez, Lorenzo e Pedrosa (che corrono fratturati) e lo stesso Crutchlow (che potremmo soprannominare Wolverine) trovandosi in testa avrebbero alzato la manina e ciao Gran Premio: un primo posto, una vittoria non valgono una vita.
Invece, la Superstock e la Superbike corrono e rischiano in una pista in cui la Moto GP non corre, perché non ci sono le condizioni di sicurezza tali da portare lì il motomondiale; eppure, la ART di Espargaro che è forse più lenta dell’Aprilia ufficiale di Giugliano corre in Moto GP: quindi, che differenza c’è? Perché la Superbike e la Superstock erano lì oggi? Perché nessuno ha voluto fermare lo show dopo quanto successo stamattina in Superbike?
Sponsor e soldi certo… Come se per andare forte ce ne fosse bisogno. Nessuno di noi che ha usato una moto “carenata” ha mai avuto sponsor e soldi per tirarle il collo oltre i 220 Km/h e vedere la strada prendere uno strano effetto stereoscopico. Forse dovrebbero ricordarlo piloti ed organizzatori, il piacere di guidare per guidare, per andare forte serve lo stomaco, il manico e un pizzico di follia, quindi, quando si va oltre il pizzico si chiude la porta del box e si aspettano condizioni migliori o si va a casa, tirando le orecchie a qualche pilota scriteriato che vorrebbe correre lo stesso, in preda alla sua sindrome da superman.
Non si fa correre un pilota incapace di capire se ha colpito un altro uomo o una moto a causa della nube d’acqua sollevata in rettilineo. Non si fanno correre uomini, trattati come fantocci, che non possono avere la capacità di sfilare un compagno che “rompe” davanti e si ferma; perché Andrea è morto per questo… non per Zanetti, è morto per aver colpito in pieno un altro pilota, che con la moto in panne è rimasto a centro pista e che lui non ha visto per la nuvola d’acqua e non ha potuto nemmeno provare a schivare o prepararsi all’impatto in qualche modo. La morte è arrivata lì.
Marco è morto tentando di tenere la sua moto in piedi, in qualche modo consapevolmente e voglioso fino alla fine di correre, di arrivare… Andrea, invece, non sa perché è morto, perché non ha potuto scegliere. Ecco, forse la sicurezza in pista sarebbe anche solo avere l’opportunità di scegliere, di avere un istante per decidere cosa fare della propria vita, di avere condizioni tali che consentano a commissari e piloti di vedere quanto succede in pista davanti a loro. Perché oggi, probabilmente, nemmeno i medici che hanno soccorso Andrea, che erano lì a pochi metri, hanno capito la dinamica dell’impatto e le conseguenti modalità d’intervento.
Il rischio morte non si può escludere dalla pista, come dalla nostra vita, ma almeno lì che ci sia un livello di attenzione più alto e di tolleranza zero per le follie. E se Mosca, Laguna Seca e altre piste per diversi motivi non sono “sicure”, che si resti a casa; che i piloti in prima persona dicano basta. Se io stasera guarderò la gara di Laguna Seca? Sì. Con Marco e Andrea nel cuore e col terrore che se qualcuno cade al cavatappi, con una rottura come quella dello scorso anno di Ben Spies, i rischi sono troppi e facilmente prevedibili, perché c’è un muretto, perché c’è un eccesso di rischio, che non so quanto sia tollerabile tutto questo in Mondo fatto di decimi, di perfezione, di cura maniacale.
Andrea Antonelli sul suo profilo Twitter poche ore fa, attimi prima di partire, aveva scritto: “osserverò attentamente e imparerò velocemente“. Ecco Andrea non ha potuto osservare attentamente e non ha potuto imparare, forse è ora che siano gli altri adesso a non perdere l’occasione, a guardare attentamente e imparare velocemente, che nel mondo in cui un bullone più stretto di un niente fa la differenza, è ancora più importante che gli aspetti importanti ed evidenti non vengano snobbati, come se si corresse col salame sugli occhi. Lo dobbiamo tutti a Marco, ad Andrea e a tutti quei ragazzi che su una moto hanno perso la vita; diamo un buon esempio, di cura ed attenzione che prevarichi anche la voglia e il coraggio del pilota, per imparare tutti, che spesso rinunciare ad un successo, a qualcosa d’importante, può essere giusto e farci sorridere insieme.
Ciao Andrea e dai un abbraccio a Marco da parte nostra…